Bonus edilizi, i nuovi scenari proposti da MCE Lab

14/04/2023Mercato

Il Superbonus e lo sconto in fattura restano di attualità, con le forti preoccupazioni generate dal nuovo scenario legato alla conversione in legge del “decreto cessioni”. Ma nell’analisi effettuata dal professore Giuliano Dall’Ò, Coordinatore di MCE Lab (la piattaforma di MCE-Mostra Convegno Expocomfort), emerge che se si intervenisse sulle modalità di applicazione e di gestione degli incentivi, il problema dello sconto in fattura e quindi dell’aggravio sui conti dello Stato potrebbe essere risolto, permettendo una pianificazione temporale che consenta alle aziende di investire e ai proprietari di immobili di affrontare i costi degli interventi di riqualificazione indispensabili anche per rispettare i limiti previsti dalla Direttive europee. La riqualificazione energetica degli edifici va fatta perché ridurre i consumi delle fonti energetiche che si usano per raffrescare e riscaldare la casa, che porta un risparmio economico, una minor dipendenza dalle fonti energetiche fossili e un beneficio per la salvaguardia dell’ambiente, è improcrastinabile. Gli edifici sono al centro di entrambi perché sono uno dei principali responsabili del potenziale di riscaldamento globale (Global Potential Warming – GWP), in quanto utilizzano il 40% dell’energia dell’Ue e producono il 36% delle emissioni di gas serra, perché rappresentano il 50% dell’estrazione di materie prime, il 40% del consumo energetico, il 36% delle emissioni di CO2 e il 21% del consumo di acqua. A ciò si aggiunga che è in fase di discussione la Direttiva europea “Energy Performance of Building Directive” che prevede che la classe minima per gli edifici residenziali sia almeno la E nel 2030 e la D nel 2033. L’aspetto basilare è come permettere questo processo in modo sostenibile anche dal punto di vista finanziario. Il primo passo è già stato fatto: ridurre le percentuali di incentivo al di sotto del costo dell’intervento, perché l’idea che un intervento non abbia costi ha portato al fenomeno del rigonfiamento dei prezzi fuori dai parametri di mercato e il conseguente aumento di tutti i costi; anche dei rimborsi fiscali e quindi del mancato gettito erariale. Atteso il fatto che non ci sono più soggetti capienti in grado di acquisire i crediti d’imposta, gli stessi potranno essere usufruiti dai singoli proprietari degli immobili oggetto degli interventi di riqualificazione; al che si aprono 2 questioni: la necessità di avere le disponibilità finanziarie per pagare i lavori nel periodo della loro esecuzione; la capienza fiscale dei singoli proprietari. Esistono o possono essere create abbastanza facilmente delle soluzioni tecniche a entrambi i problemi. Rispetto al primo punto, essendo il rimborso del credito certo, in quanto garantito dallo Stato che lo scalerà direttamente dalle imposte che i contribuenti non pagheranno, sarebbe sufficiente che il Governo emanasse una norma che preveda finanziamenti a tasso agevolato basso, “Mutui verdi”, per permettere ai proprietari che non possiedono i fondi necessari per poter far fronte al pagamento delle opere. Il piccolo onere finanziario verrebbe recuperato agevolmente dai proprietari con i risparmi ottenuti dalla riduzione dei consumi di energia elettrica e gas una volta effettuati i lavori di riqualificazione (la riduzione dei consumi passando dalla classe G alla E è del 26% e del 43% per il passaggio dalla E alla D). I mutui verdi potrebbero essere integrati nei normali mutui di compravendita se l’acquirente si impegna a riqualificare l’immobile contestualmente all’acquisto, portandolo almeno alla classe E, o facendogli guadagnare altre 2 classi se lo fosse già. La banca potrebbe quindi incrementare il mutuo base con una componente “green” permettendo di riqualificare energicamente la casa in fase di compravendita. Il valore della casa aumenta fin dall’inizio e questo è un vantaggio per la nuova proprietà e per la banca. Ad ulteriore aiuto delle fasce meno abbienti il Governo potrebbe anche prevedere tariffe agevolate per l’energia elettrica e il gas per il solo periodo di recupero dei costi sostenuti attraverso la detrazione dalle proprie imposte e quindi solo per chi decide di fare gli interventi di riqualificazione. Rispetto al secondo punto si tratta di identificare un meccanismo tecnico che permetta di allungare il rimborso in modo proporzionale alla capienza di imposte che il soggetto deve versare. Potrebbe esserci un problema complessivo di natura finanziaria, cioè che come adesso, si riscontri che il totale degli incentivi (che sono “sconti dalle imposte” che i cittadini devono versare allo Stato) non sia finanziariamente sostenibile, ma anche in questo caso ci sono 2 soluzioni attuabili. La prima nasce dalla considerazione, anche in funzione della necessità di ridurre i consumi, che l’operazione possa essere considerata continuativa per un certo numero di anni, ponendo quindi un tetto complessivo agli importi delle opere realizzabili per ogni anno, ottenendo così una dilazione negli anni dei lavori e dei relativi costi/incentivi/mancati introiti delle imposte. Questa soluzione avrebbe anche il grande vantaggio di non costringere le imprese ad assunzioni temporanee e a poter programmare le attività in un arco di anni che permetta di avere una visione imprenditoriale più gestibile. La seconda soluzione è di differenziare la percentuale di incentivi in funzione dei redditi dei proprietari. “In conclusione, si può notare come le soluzioni tecniche per poter proseguire il processo di riqualificazione energetica degli edifici ci siano e vadano solo contestualizzate all’interno del corretto equilibrio finanziario dello Stato; che è certamente importante, ma non può essere l’unico parametro applicato. – conclude il prof. Dall’Ò – O meglio, quando si analizzano gli aspetti economici, finanziari e fiscali degli interventi che hanno a che fare con i contenuti che influiscono direttamente sull’ambiente si dovrebbero anche considerare i costi diretti e indiretti che l’inquinamento produce e che incidono sui conti dello Stato e dei singoli cittadini.”

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